Pellegrinaggio al santo a Padova il 6 giugno
Programma: ·Ore 15.50 Partenza da Poggiana · Ore 16.00 partenza da Vallà (davanti alla Chiesa) · Ore 17.00 Basilica del Santo -
Momento libero personale · Ore 18.00 Santa Messa presieduta dal nostro Vescovo Gianfranco Agostino Gardin. · Al termine della Messa ritrovo presso l’ingresso della Porta laterale per il ritorno. Prenotazioni entro 31/05/2019 – Costo €. 10 con versamento anticipato di €. 5.
Le iscrizioni sono aperte a tutti fino ad esaurimento dei 50 posti disponibili.
Iscrizioni: x Vallà Lucietti Sonia 3333625638, Didonè Valeria 3482601920, Sbeghen Assunta 3349949971, Marinetto Anna 0423746116 x Poggiana: Deborah Ceron 3474773103, Bruna Cremasco 3339929965.
I seduttori e i maestri: due voci ben diverse
Le mie pecore ascoltano la mia voce. Non i comandi, la voce. Quella che attraversa le distanze, inconfondibile; che racconta una relazione, rivela una intimità, fa emergere una presenza in te. La voce giunge all'orecchio del cuore prima delle cose che dice. È l'esperienza con cui il bambino piccolo, quando sente la voce della madre, la riconosce, si emoziona, tende le braccia e il cuore verso di lei, ed è già felice ben prima di arrivare a comprendere il significato delle parole. La voce è il canto amoroso dell'essere: «Una voce! L'amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline» (Ct 2,8). E prima ancora di giungere, l'amato chiede a sua volta il canto della voce dell'amata: «La tua voce fammi sentire» (Ct 2,14)... Quando Maria, entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta, la sua voce fa danzare il grembo: «Ecco appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,44). Tra la voce del pastore buono e i suoi agnelli corre questa relazione fidente, amorevole, feconda. Infatti perché le pecore dovrebbero ascoltare la sua voce? Due generi di persone si disputano il nostro ascolto: i seduttori, quelli che promettono piaceri, e i maestri veri, quelli che danno ali e fecondità alla vita. Gesù risponde offrendo la più grande delle motivazioni: perché io do loro la vita eterna. Ascolterò la sua voce non per ossequio od obbedienza, non per seduzione o paura, ma perché come una madre, lui mi fa vivere. Io do loro la vita. Il pastore buono mette al centro della religione non quello che io faccio per lui, ma quello che lui fa per me. Al cuore del cristianesimo non è posto il mio comportamento o la mia etica, ma l'azione di Dio. La vita cristiana non si fonda sul dovere, ma sul dono: vita autentica, vita per sempre, vita di Dio riversata dentro di me, prima ancora che io faccia niente. Prima ancora che io dica sì, lui ha seminato germi vitali, semi di luce che possono guidare me, disorientato nella vita, al paese della vita. La mia fede cristiana è incremento, accrescimento, intensificazione d'umano e di cose che meritano di non morire. Gesù lo dice con una immagine di lotta, di combattiva tenerezza: Nessuno le strapperà dalla mia mano. Una parola assoluta: nessuno. Subito raddoppiata, come se avessimo dei dubbi: nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io sono vita indissolubile dalle mani di Dio. Legame che non si strappa, nodo che non si scioglie. L'eternità è un posto fra le mani di Dio. Siamo passeri che hanno il nido nelle sue mani. E nella sua voce, che scalda il freddo della solitudine.
Alla fine saremo tutti giudicati sull’amore
In riva al lago, una delle domande più alte ed esigenti di tutta la Bibbia: «Pietro, tu mi ami?». È commovente l'umanità del Risorto: implora amore, amore umano. Può andarsene, se è rassicurato di essere amato. Non chiede: Simone, hai capito il mio annuncio? Hai chiaro il senso della croce? Dice: lascio tutto all'amore, e non a progetti di qualsiasi tipo. Ora devo andare, e vi lascio con una domanda: ho suscitato amore in voi? In realtà, le domande di Gesù sono tre, ogni volta diverse, come tre tappe attraverso le quali si avvicina passo passo a Pietro, alla sua misura, al suo fragile entusiasmo. Prima domanda: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gesù adopera il verbo dell'agápe, il verbo dell'amore grande, del massimo possibile, del confronto vincente su tutto e su tutti. Pietro non risponde con precisione, evita sia il confronto con gli altri sia il verbo di Gesù: adotta il termine umile dell'amicizia, philéo. Non osa affermare che ama, tanto meno più degli altri, un velo d'ombra sulle sue parole: certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene, ti sono amico! Seconda domanda: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Non importano più i confronti con gli altri, ognuno ha la sua misura. Ma c'è amore, amore vero per me? E Pietro risponde affidandosi ancora al nostro verbo sommesso, quello più rassicurante, più umano, più vicino, che conosciamo bene; si aggrappa all'amicizia e dice: Signore, io ti sono amico, lo sai! Terza domanda: Gesù riduce ancora le sue esigenze e si avvicina al cuore di Pietro. Il Creatore si fa a immagine della creatura e prende lui a impiegare i nostri verbi: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene, mi sei amico?». L'affetto almeno, se l'amore è troppo; l'amicizia almeno, se l'amore ti mette paura. «Pietro, un po' di affetto posso averlo da te?». Gesù dimostra il suo amore abbassando ogni volta le sue attese, dimenticando lo sfolgorio dell'agápe, ponendosi a livello della sua creatura: l'amore vero mette il tu prima dell'io, si mette ai piedi dell'amato. Pietro sente il pianto salirgli in gola: vede Dio mendicante d'amore, Dio delle briciole, cui basta così poco, con la sincerità del cuore. Quando interroga Pietro, Gesù interroga me. E l'argomento è l'amore. Non è la perfezione che lui cerca in me, ma l'autenticità. Alla sera della vita saremo giudicati sull'amore (Giovanni della Croce). E quando questa si aprirà sul giorno senza tramonto, il Signore ancora una volta ci chiederà soltanto: mi vuoi bene? E se anche l'avrò tradito per mille volte, lui per mille volte mi chiederà: mi vuoi bene? E non dovrò fare altro che rispondere, per mille volte: sì, ti voglio bene. E piangeremo insieme di gioia.
Settimana estiva famiglie
Nella Casa Alpina Villa Letizia di Valle di Cadore (BL) dal 17 al 24 Agosto 2019
Tema della settimana: Famiglia che coltiva e promuove la fede.
Relatore: don Daniele Vettor
Info / prenotazioni: Fiorenza e Antonio Bottero Tel.: 3756066265 – 3405195718 Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Gr.est. 2019 Yes!
YES è il SI quotidiano con il quale rispondiamo alla vocazione di essere cristiani; è il Si anche di quelli che pensano di non saper far niente e di coloro che sanno che il Signore li ha forniti di molti doni. Con il Si detto di cuore, anche nella piccolezza e nella difficoltà, si sperimenta la beatitudine e la gioia di non essere mai soli. Sono aperte le iscrizioni al Gr.est. Domenica 12/5 e domenica 19/5 dalle 10.00 alle 12.00 presso il Centro parrocchiale.
Domenica della divina misericordia
L’ORIGINE della «festa della Divina Misericordia» si colloca nel contesto dell’esperienza mistica di Suor Faustina Kowalska: ella annota nel suo Diario che Cristo la invitò a istituire questa festa a Plock in Polonia nel 1931, indicandole anche il momento preciso durante l’anno liturgico, cioè la Seconda Domenica di Pasqua. Questo perché esiste un profondo legame fra il mistero pasquale della Redenzione e la festa della Misericordia: «Le anime periscono, nonostante la mia dolorosa passione… Se non adoreranno la mia misericordia, periranno per sempre». San Giovanni Paolo II l’ha istituita come celebrazione per la Chiesa universale nel 1992. Pregando devotamente la coroncina della Divina Misericordia, chiedendo al Signore il perdono dei peccati, ricevendo l’Eucaristia, in questo giorno il cristiano ottiene il dono dell’indulgenza plenaria, attingendo così alle sorgenti della salvezza e rinnovando il proprio cammino spirituale, certo che l’amore del Signore può superare e distruggere ogni peccato e donare nuova fiducia a chiunque si avvicina a lui con cuore sincero. Le condizioni per ricevere l’indulgenza plenaria sono: Confessione, Comunione Eucaristica, preghiera in una chiesa secondo le intenzioni del Sommo Pontefice e per il bene di tutta l’umanità, animo totalmente distaccato da qualsiasi forma di peccato anche veniale. La gioia di ritrovarsi santi agli occhi di Dio deve esprimersi in gesti di carità e servizio al prossimo così che la grazia ricevuta porti frutti di vita.
Calendario Sante Messe di maggio
La chiusura del mese di maggio si terrà in chiesa parrocchiale a Poggiana il 30 maggio alle ore 20.30,
a Vallà il 31 maggio.
Sono invitate tutte le famiglie e tutti i ragazzi del catechismo e tutta la comunità cristiana.
SANTE MESSE A VALLÀ
Lunedì 6/5 Vallà Famiglia Piazza Via Aurelia 48/A 20.00
Mercoledì 15/5 Vallà Fam. Marchioretto Via Visintin, 23 20.00
Giovedì 16/5 Vallà Famiglia Santi Via 27 Aprile, 44/B 20.00
Venerdì 17/5 Vallà Parco capitello Q.re S. D'Acquisto 20.00
Martedì 21/5 Vallà Famiglia Basso Via Aurelia 20.00
Venerdì 24/5 Vallà Parco capitello Q.re Corazza, 36 20.00
Martedì 28/5 Vallà Parco capitello Via Montello 20.00
SANTE MESSE A POGGIANA
Venerdì 10/5 Poggiana Oratorio Via Bernardi 20.30
Lunedì 13/5 Poggiana Capitello Col Moschin 20.30
Martedì 14/5 Poggiana Bonin Cecilia Via Bernardi 20.30
Lunedì 20/5 Poggiana Battagello Giuditta Via Balegante 20.30
Mercoledì 22/5 Poggiana Troietto Stefano Via Masaccio 20.30
Giovedì 23/5 Poggiana Bertapelle Michele Via De Gasperi 20.30
Le ferite di Gesù, alfabeto dell’amore
Venne Gesù a porte chiuse. In quella stanza, dove si respirava paura, alcuni non ce l'hanno fatta a restare rinchiusi: Maria di Magdala e le donne, Tommaso e i due di Emmaus. A loro, che respirano libertà, sono riservati gli incontri più belli e più intensi. Otto giorni dopo Gesù è ancora lì: l'abbandonato ritorna da quelli che sanno solo abbandonare; li ha inviati per le strade, e li ritrova chiusi in quella stanza; eppure non si stanca di accompagnarli con delicatezza infinita. Si rivolge a Tommaso che lui stesso aveva educato alla libertà interiore, a dissentire, ad essere rigoroso e coraggioso, vivo e umano. Non si impone, si propone: Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco. Gesù rispetta la fatica e i dubbi; rispetta i tempi di ciascuno e la complessità del credere; non si scandalizza, si ripropone. Che bello se anche noi fossimo formati, come nel cenacolo, più all'approfondimento della fede che all'ubbidienza; più alla ricerca che al consenso! Quante energie e quanta maturità sarebbero liberate! Gesù si espone a Tommaso con tutte le ferite aperte. Offre due mani piagate dove poter riposare e riprendere il fiato del coraggio. Pensavamo che la risurrezione avrebbe cancellato la passione, richiusi i fori dei chiodi, rimarginato le piaghe. Invece no: esse sono il racconto dell'amore scritto sul corpo di Gesù con l'alfabeto delle ferite, incancellabili ormai come l'amore stesso. La Croce non è un semplice incidente di percorso da superare con la Pasqua, è il perché, il senso. Metti, tendi, tocca. Il Vangelo non dice che Tommaso l'abbia fatto, che abbia toccato quel corpo. Che bisogno c'era? Che inganno può nascondere chi è inchiodato al legno per te? Non le ha toccate, lui le ha baciate quelle ferite, diventate feritoie di luce. Mio Signore e mio Dio. La fede se non contiene questo aggettivo mio non è vera fede, sarà religione, catechismo, paura. Mio dev'essere il Signore, come dice l'amata del Cantico; mio non di possesso ma di appartenenza: il mio amato è mio e io sono per lui. Mio, come lo è il cuore e, senza, non sarei. Mio come il respiro e, senza, non vivrei. Tommaso, beati piuttosto quelli che non hanno visto e hanno creduto! Una beatitudine alla mia portata: io che tento di credere, io apprendista credente, non ho visto e non ho toccato mai nulla del corpo assente del Signore. I cristiani solo accettando di non vedere, non sapere, non toccare, possono accostarsi a quella alternativa totale, alla vita totalmente altra che nasce nel buio lucente di Pasqua.
Buona settimana Santa!
La Settimana Santa è il cuore di tutto l’anno liturgico e ci introduce nella Pasqua di Risurrezione. Auguro a tutti di poter cogliere le opportunità che questo tempo straordinario offre per entrare nel mistero dell’amore di Dio e per lasciarsi trasformare secondo il Vangelo di Gesù Cristo. La confessione sacramentale può diventare davvero una bella occasione per prendere in mano sul serio la propria vita spirituale e per continuare un cammino che ci porta ad una vita piena. Preghiamo con intensità il Signore perché le nostre comunità parrocchiali diventino sempre più conformi al cuore di Gesù, lui che sempre accoglieva l’altro e sapeva promuovere a vita più dignitosa e bella chi si accostava lungo il cammino. Non dimentichiamo i tanti fratelli e sorelle che vivono pesanti difficoltà personali o familiari o per chi si trova a vivere nella solitudine e nella malattia. La Passione di Cristo ci guidi e farci prossimi a tutti coloro che sono emarginati e ogni giorno combattono da soli. Il Signore dia loro serenità e pace. Buon cammino di preparazione prossimo alla Pasqua.
Fattosi carne il Verbo ora entra anche nella morte
Inizia con la Domenica delle Palme la settimana suprema della storia e della fede. In quei giorni che diciamo «santi» è nato il cristianesimo, è nato dallo scandalo e dalla follia della croce. Lì si concentra e da lì emana tutto ciò che riguarda la fede dei cristiani. Per questo improvvisamente, dalle Palme a Pasqua, il tempo profondo, quello del respiro dell'anima, cambia ritmo: la liturgia rallenta, prende un altro passo, moltiplica i momenti nei quali accompagnare con calma, quasi ora per ora, gli ultimi giorni di vita di Gesù: dall'entrata in Gerusalemme, alla corsa di Maddalena al mattino di Pasqua, quando anche la pietra del sepolcro si veste di angeli e di luce. Sono i giorni supremi, i giorni del nostro destino. E mentre i credenti di ogni fede si rivolgono a Dio e lo chiamano nel tempo della loro sofferenza, i cristiani vanno a Dio nel tempo della sua sofferenza. «L'essenza del cristianesimo è la contemplazione del volto del Dio crocifisso» (Carlo Maria Martini). Contemplare come le donne al Calvario, occhi lucenti di amore e di lacrime; stare accanto alle infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli, nella sua carne innumerevole, dolente e santa. Come sul Calvario «Dio non salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza; non protegge dalla morte, ma nella morte. Non libera dalla croce ma nella croce» (Bonhoeffer). La lettura del Vangelo della Passione è di una bellezza che mi stordisce: un Dio che mi ha lavato i piedi e non gli è bastato, che ha dato il suo corpo da mangiare e non gli è bastato; lo vedo pendere nudo e disonorato, e devo distogliere lo sguardo. Poi giro ancora la testa, torno a guardare la croce, e vedo uno a braccia spalancate che mi grida: ti amo. Proprio a me? Sanguina e grida, o forse lo sussurra, per non essere invadente: ti amo. Perché Cristo è morto in croce? Non è stato Dio il mandante di quell'omicidio. Non è stato lui che ha permesso o preteso che fosse sacrificato l'innocente al posto dei colpevoli. Placare la giustizia col sangue? Non è da Dio. Quante volte ha gridato nei profeti: «Io non bevo il sangue degli agnelli, io non mangio la carne dei tori», «amore io voglio e non sacrificio». La giustizia di Dio non è dare a ciascuno il suo, ma dare a ciascuno se stesso, la sua vita. Ecco allora che Incarnazione e Passione si abbracciano, la stessa logica prosegue fino all'estremo. Gesù entra nella morte, come è entrato nella carne, perché nella morte entra ogni carne: per amore, per essere con noi e come noi. E la attraversa, raccogliendoci tutti dalle lontananze più perdute, e a Pasqua ci prende dentro il vortice del suo risorgere, ci trascina con sé in alto, nella potenza della risurrezione.
Settimana Santa a Vallà e a Poggiana
VALLA'
Domenica delle Palme: ore 8:45 Benedizione dell'olivo ore 9:00 Santa Messa solenne ore 10:30 Santa Messa ore 16:00 Apertura dell'adorazione eucaristica con Vespri
Lunedì santo: ore 8:15 Santa Messa con lodi e a seguire apertura dell'adorazione eucaristica ore 19:00 Vespri con riposizione del Santissimo Sacramento
Martedì santo: ore 8:15 Santa Messa con lodi e a seguire apertura dell'adorazione eucaristica ore 19:00 Vespri con riposizione del Santissimo Sacramento
Mercoledì santo: ore 8:15 Santa Messa con lodi e a seguire apertura dell'adorazione eucaristica ore 19:00 Vespri con riposizione del Santissimo Sacramento
Giovedì santo: ore 7.30 Ufficio delle letture e lodi ore 17:00 Santa Messa ore 20:00 Santa Messa con lavanda dei piedi e adorazione eucaristica notturna.
Venerdì santo: ore 8:00 Ufficio delle letture e lodi ore 15:00 Via Crucis ore 20:00 Azione liturgica con processione
Sabato santo: ore 8:00 Ufficio delle letture e lodi ore 21:00 Veglia pasquale
Domenica di Pasqua: ore 9:00 Santa Messa ore 10:30 Santa Messa
POGGIANA
Domenica delle Palme: ore 10:30 Benedizione dell'olivo e Santa Messa Solenne ore 17:30 Vespri con apertura dell'adorazione eucaristica ore 18:30 Santa Messa
Lunedì santo: ore 7:15 Santa Messa con lodi e adorazione eucaristica fino alle ore 10:30 dalle 15:00 alle 18:30 esposizione ore 18:30 Vespri con riposizione del Santissimo Sacramento
Martedì santo: ore 8:00 lodi e a seguire apertura dell'adorazione eucaristica fino alle 10:30 dalle 15:00 alle 18:30 adorazione eucaristica ore 18:30 Santa Messa con Vespri
Mercoledì santo: ore 7:15 Santa Messa con lodi e adorazione eucaristica fino alle 10:30 dalle 15:00 alle 18:30 adorazione eucaristica ore 18:30 Vespri con riposizione del Santissimo Sacramento
Giovedì santo: ore 18:30 Santa Messa con lavanda dei piedi. La chiesa resterà aperta per l'adorazione fino alle ore 21:00.
Venerdì santo: ore 8:00 Ufficio delle letture e lodi ore 15:00 Via Crucis ore 20:00 Azione liturgica con processione
Sabato santo: ore 8:00 Ufficio delle letture e lodi ore 21:00 Veglia pasquale
Domenica di Pasqua: ore 10:30 Santa Messa ore 18:30 Santa Messa
AVVISO CARITAS
Per ogni settimana di Quaresima, trovi la ’Cesta della Carità’ in Chiesa, dove portare questi prodotti:
dal 24/3 al 30/3 - TONNO e SCATOLAME VARIO
dal 31/3 al 6/4 - RISO, FARINA E ZUCCHERO
dal 7/4 al 13/4 - PRODOTTI COLAZIONE
dal 14/4 al 20/4 - DETERSIVI e CANCELLERIA SCUOLA
Il Signore apre le porte delle nostre prigioni
Una trappola ben congegnata: «che si schieri, il maestro, o contro Dio o contro l'uomo». Gli condussero una donna... e la posero in mezzo. Donna senza nome, che per scribi e farisei non è una persona, è il suo peccato; anzi è una cosa, che si prende, si porta, si mette di qua o di là, dove a loro va bene. Si può anche mettere a morte. Sono funzionari del sacro, diventati fondamentalisti di un Dio terribilmente sbagliato. «Maestro, secondo te, è giusto uccidere...?». Quella donna ha sbagliato, ma la sua uccisione sarebbe ben più grave del peccato che vogliono punire. Gesù si chinò e scriveva col dito per terra..., mostrando così la strada: invita tutti a chinarsi, a tacere, a mettersi ai piedi non di un codice penale ma del mistero della persona. «Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei». Gesù butta all'aria tutto il vecchio ordinamento legale con una battuta sola, con parole definitive e così vere che nessuno può ribattere. E se ne andarono tutti. Allora Gesù si alza, ad altezza del cuore della donna, ad altezza degli occhi, per esserle più vicino; si alza con tutto il rispetto dovuto a un principe, e la chiama “donna”, come farà con sua madre: Nessuno ti ha condannata? Neanch'io lo faccio. Eccolo il maestro vero, che non s'impalca a giudice, che non condanna e neppure assolve; ma fa un'altra cosa: libera il futuro di quella donna, cambiandole non il passato ma l'avvenire: Va' e d'ora in poi non peccare più: poche parole che bastano a riaprire la vita. Il Signore sa sorprendere ancora una volta il nostro cuore fariseo: non chiede alla donna di confessare il peccato, non le chiede di espiarlo, non le domanda neppure se è pentita. È una figlia a rischio della vita, e tanto basta a Colui che è venuto a salvare. E la salvezza è sciogliere le vele (io la vela, Dio il vento): infatti non le domanda da dove viene, ma dove è diretta; non le chiede che cosa ha fatto, ma cosa farà. E si rivolge alla luce profonda di quella creatura, vi intinge la penna come uno scriba sapiente: «Scrivo con una minuscola bilancia come quella dei gioiellieri. Su un piatto depongo l'ombra, sull'altro la luce. Un grammo di luce fa da contrappeso a diversi chili d'ombra...»(Ch Bobin). Le scrive nel cuore la parola “futuro”. Le dice: «Donna, tu sei capace di amare, tu puoi amare bene, amare molto. Questo tu farai...». Gesù apre le porte delle nostre prigioni, smonta i patiboli su cui spesso trasciniamo noi stessi e gli altri. Lui sa bene che solo uomini e donne perdonati e amati possono disseminare attorno a sé perdono e amore. I due soli doni che non ci faranno più vittime. Che non faranno più vittime né fuori né dentro di noi.
Non importa perché torni. A Dio basta il primo passo
La parabola più bella, in quattro sequenze narrative. Prima scena. Un padre aveva due figli. Nella bibbia, questo incipit causa subito tensione: le storie di fratelli non sono mai facili, spesso raccontano drammi di violenza e menzogne, riportano alla mente Caino e Abele, Ismaele e Isacco, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe e i suoi fratelli, e il dolore dei genitori. Un giorno il figlio minore se ne va, in cerca di se stesso, con la sua parte di eredità, di “vita”. E il padre non si oppone, lo lascia andare anche se teme che si farà male: lui ama la libertà dei figli, la provoca, la festeggia, la patisce. Un uomo giusto. Secondo quadro. Quello che il giovane inizia è il viaggio della libertà, ma le sue scelte si rivelano come scelte senza salvezza («sperperò le sue sostanze vivendo in modo dissoluto»). Una illusione di felicità da cui si risveglierà in mezzo ai porci, ladro di ghiande per sopravvivere: il principe ribelle è diventato servo. Allora rientra in sé, lo fanno ragionare la fame, la dignità umana perduta, il ricordo del padre: «quanti salariati in casa di mio padre, quanto pane!». Con occhi da adulto, ora conosce il padre innanzitutto come un signore che ha rispetto della propria servitù (R. Virgili). E decide di ritornare, non come figlio, da come uno dei servi: non cerca un padre, cerca un buon padrone; non torna per senso di colpa, ma per fame; non torna per amore, ma perché muore. Ma a Dio non importa il motivo per cui ci mettiamo in cammino, a lui basta il primo passo Terza sequenza. Ora l'azione diventa incalzante. Il padre, che è attesa eternamente aperta, «lo vede che era ancora lontano», e mentre il figlio cammina, lui corre. E mentre il ragazzo prova una scusa, il padre non rinfaccia ma abbraccia: ha fretta di capovolgere la lontananza in carezze. Per lui perdere un figlio è una perdita infinita. Non ha figli da buttare, Dio. E lo mostra con gesti che sono materni e paterni insieme, e infine regali: «presto, il vestito più bello, l'anello, i sandali, il banchetto della gioia e della festa». Ultima scena. Lo sguardo ora lascia la casa in festa e si posa su di un terzo personaggio che si avvicina, di ritorno dal lavoro. L'uomo sente la musica, ma non sorride: lui non ha la festa nel cuore (R. Virgili). Buon lavoratore, ubbidiente e infelice. Alle prese con l'infelicità che deriva da un cuore che non ama le cose che fa, e non fa le cose che ama: io ti ho sempre ubbidito e a me neanche un capretto... il cuore assente, il cuore altrove. E il padre, che cerca figli e non servi, fratelli e non rivali, lo prega con dolcezza di entrare: è in tavola la vita. Il finale è aperto: capirà? Aperto sull'offerta mai revocata di Dio.