Trinità: Dio è legame, comunione e abbraccio.
I nomi di Dio sul monte sono uno più bello dell'altro: il misericordioso e pietoso, il lento all'ira, il ricco di grazia e di fedeltà (Es 34,6).
Mosè è salito con fatica, due tavole di pietra in mano, e Dio sconcerta lui e tutti i moralisti, scrivendo su quella rigida pietra parole di tenerezza e di bontà.
Che giungono fino a Nicodemo, a quella sera di rinascite. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Siamo al versetto centrale del Vangelo di Giovanni, a uno stupore che rinasce ogni volta davanti a parole buone come il miele, tonificanti come una camminata in riva al mare, fra spruzzi d'onde e aria buona respirata a pieni polmoni: Dio ha tanto amato il mondo... e la notte di Nicodemo, e le nostre, s'illuminano.
Gesù sta dicendo al fariseo pauroso: il nome di Dio non è amore, è “tanto amore”, lui è “il molto-amante”. Dio altro non fa che, in eterno, considerare il mondo, ogni carne, più importanti di se stesso. Per acquistare me, ha perduto se stesso. Follia della croce. Pazzia di venerdì santo. Ma per noi rinascita: ogni essere nasce e rinasce dal cuore di chi lo ama. Proviamo a gustare la bellezza di questi verbi al passato: Dio ha amato, il Figlio è dato. Dicono non una
speranza (Dio ti amerà, se tu...), ma un fatto sicuro e acquisito: Dio è già qui, ha intriso di sé il mondo, e il mondo ne è imbevuto. Lasciamo che i pensieri assorbano questa verità bellissima: Dio è già venuto, è nel mondo, qui, adesso, con molto amore. E ripeterci queste parole ad ogni risveglio, ad ogni difficoltà,
ogni volta che siamo sfiduciati e si fa buio. Il Figlio non è stato mandato per giudicare. «Io non giudico!»(Gv 8.15) Che parola dirompente, da ripetere alla nostra fede paurosa settanta volte sette! Io non giudico, né per sentenze di condanna e neppure per verdetti di assoluzione. Posso pesare i monti con la stadera e il mare con il cavo della mano (Is 40,12), ma l'uomo non lo peso e non lo misuro, non preparo né bilance, né tribunali. Io non giudico, io salvo. Salvezza, parola enorme. Salvare vuol dire nutrire di pienezza e poi conservare. Dio conserva: questo mondo e me, ogni pensiero buono, ogni generosa fatica, ogni dolorosa pazienza; neppure un capello del vostro capo andrà perduto (Lc 21,18), neanche un filo d'erba, neanche un filo di bellezza scomparirà nel nulla. Il mondo è salvo perché amato. I cristiani non sono quelli che amano Dio, sono quelli che credono che Dio li ama, che ha pronunciato il suo 'sì' al mondo, prima che il mondo dica 'sì' a lui. Festa della Trinità: annuncio che Dio non è in se stesso solitudine, ma comunione, legame, abbraccio.
Pentecoste, un vento di santità nel cosmo
La Pentecoste non si lascia recintare dalle nostre parole. La liturgia stessa moltiplica le lingue per dirla: nella prima Lettura lo Spirito arma e disarma gli Apostoli, li presenta come “ubriachi”, inebriati da qualcosa che li ha storditi di gioia, come un fuoco, una divina follia che non possono contenere. E questo, dopo il racconto della casa di fiamma, di un vento di coraggio che spalanca le porte e le parole. E la prima Chiesa, arroccata sulla difensiva, viene lanciata fuori e in avanti. La nostra Chiesa tentata, oggi come allora, di arroccarsi e chiudersi, perché in crisi di numeri, perché aumentano coloro che si dichiarano indifferenti o risentiti, su questa mia Chiesa, amata e infedele, viene la sua passione mai arresa, la sua energia imprudente e bellissima. Il Salmo responsoriale guarda lontano: «Del tuo Spirito, Signore, è piena la terra». Una delle affermazioni più belle e rivoluzionarie di tutta la Bibbia: tutta la terra è gravida, ogni creatura è come incinta di Spirito, anche se non è evidente, anche se la terra ci appare gravida di ingiustizia, di sangue, di follia, di paura. Ogni piccola creatura è riempita dal vento di Dio, che semina santità nel cosmo: santità della luce e del filo d’erba, santità del bambino che nasce, del giovane che ama, dell’anziano che pensa. L’umile santità del bosco e della pietra. Una divina liturgia santifica l’universo. La terza via della Pentecoste è data dalla seconda lettura. Lo Spirito viene consacrando la diversità dei carismi: bellezza, genialità, unicità proprie per ogni vita. Lo Spirito vuole discepoli geniali, non banali ripetitori. La Chiesa come Pasqua domanda unità attorno alla croce; ma la Chiesa come Pentecoste vuole diversità creativa. Il Vangelo infine colloca la Pentecoste già la sera di Pasqua: «Soffiò su di loro e disse: ricevete lo Spirito Santo». Lo Spirito di Cristo, ciò che lo fa vivere, viene a farci vivere, leggero e quieto come un respiro, umile e testardo come il battito del cuore. Il poeta Ovidio scrive un verso folgorante: est Deus in nobis, c’è un Dio in noi. Questa è tutta la ricchezza del mistero: «Cristo in voi!» (Col 1,27). La pienezza del mistero è di una semplicità abbagliante: Cristo in voi, Cristo in me. Quello Spirito che ha incarnato il Verbo nel grembo di santa Maria fluisce, inesauribile e illimitato, a continuare la stessa opera: fare della Parola carne e sangue, in me e in te, farci tutti gravidi di Dio e di genialità
interiore. Perché Cristo diventi mia lingua, mia passione, mia vita, e io, come i folli e gli ebbri di Dio, mi metta in cammino dietro a lui «il solo pastore che pei cieli ci fa camminare» (D.M. Turoldo).
Pentecoste e il dono dello Spirito Santo
Lo Spirito Santo è il nome della terza persona della SS. Trinità, principio di santificazione dei fedeli, di unificazione della Chiesa, di ispirazione negli autori della Sacra Scrittura.
È colui che assiste il magistero della Chiesa e tutti i fedeli nella conoscenza della verità (è detto anche ‘Paraclito’, cioè ‘Consolatore’).
L’Antico Testamento, non contiene una vera e propria indicazione sullo Spirito Santo come persona divina. Lo “spirito di Dio”, vi appare come forza divina che produce la vita naturale cosmica, i doni profetici e gli altri carismi, la capacità morale di obbedire ai comandamenti. Nel Nuovo Testamento, lo Spirito appare talora ancora come forza impersonale carismatica. Insieme però, avviene la rivelazione della ‘personalità’ e della ‘divinità’ dello Spirito Santo, specialmente nel Vangelo di san Giovanni, dove Gesù afferma di pregare il Padre perché mandi il Paraclito, che rimanga sempre con i suoi discepoli e li ammaestri nella verità (Giov. 14-16) e in san Paolo, dove la dottrina dello Spirito Santo è congiunta con quella della divina redenzione. Il magistero della Chiesa insegna che la terza Persona procede dalla prima e dalla seconda, come da un solo principio e come loro reciproco amore; che lo Spirito Santo è inviato per via di ‘missione’ nel mondo, e che esso ‘inabita’ nell’anima di chi possiede la Grazia santificante.
Concesso a tutti i battezzati (1 Corinzi, 12, 13), lo Spirito fonda l’uguale dignità di tutti i credenti. Ma nello stesso tempo, in quanto conferisce carismi e ministeri diversi, l’unico Spirito, costruisce la Chiesa con l’apporto di una molteplicità di doni. L’insegnamento tradizionale, seguendo un testo di Isaia (11, 1 sgg.) enumera sette doni particolari, sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio.
Mese di maggio: affidamento a Maria
Vergine Santissima, Madre della consolazione, siamo davanti a te a chiederti aiuto e protezione, perché stiamo attraversando un momento difficile, tutto buio, che sembra toglierci la luce. Il nostro animo, perciò, è dominato dall’angoscia e dalla paura. E allora siamo qui a chiederti aiuto e protezione. Siamo qui perché tu, Madre della consolazione, ci possa consolare con un segno di speranza. Siamo qui, o dolcissima Madre, per supplicarti a non abbandonarci. Fa’ che anche noi possiamo raccontare alle generazioni future le grazie della tua potente intercessione presso Dio. Noi oggi ci consacriamo nuovamente a te.
Ti consacriamo noi stessi e le nostre famiglie, chi ci governa, chi vigila sull’ordine pubblico, chi provvede ai nostri bisogni quotidiani. Ti consacriamo gli anziani, i giovani e i ragazzi, tutti i tuoi devoti sparsi per il mondo intero. Veglia sugli ammalati e dona loro conforto e speranza. Sta’ accanto ai medici e a tutto il personale sanitario e dona loro scienza e fortezza. Consolaci ancora una volta, o Madre della Consolazione, e dissipa queste tenebre, che si sono addensate su di noi. Noi trasformeremo questo tempo di dolore in un momento di grazia, perché, ripensando ai veri valori della vita, che mai come in questo momento stiamo apprezzando e assaporando, possiamo uscire purificati e rinnovati da questa prova. Amen.
Ascensione, Dio con noi fino alla fine del mondo.
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro:
«A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
I discepoli sono tornati in Galilea, su quel monte che conoscevano bene. Quando lo videro, si prostrarono. Gesù lascia la terra con un bilancio deficitario: gli sono rimasti soltanto undici uomini impauriti e confusi, e un piccolo nucleo di donne coraggiose e fedeli. Lo hanno seguito per tre anni sulle strade di Palestina, non hanno capito molto ma lo hanno amato molto. E ci sono tutti all’appuntamento sull’ ultima montagna. Questa è la sola garanzia di cui Gesù ha bisogno. Ora
può tornare al Padre, rassicurato di essere amato, anche se non del tutto capito. Adesso sache nessuno di quegli uomini e di quelle donne lo dimenticherà. Essi però dubitarono... Gesù compie un atto di enorme, illogica fiducia in persone che dubitano ancora. Non rimane ancora un po ’ , per spiegare meglio, per chiarire i punti oscuri. Ma affida il suo messaggio a gente che dubita ancora. Non esiste fede vera senza dubbi. I dubbi sono come i poveri, li avremo sempre con noi. Ma se li interroghi con coraggio, da apparenti nemici diverranno dei difensori della fede, la proteggeranno dall ’ assalto delle risposte superficiali e delle frasi
fatte. Gesù affida il mondo sognato alla fragilità degli Undici, e non all’ intelligenza di primi.
Finalmente si ricomincia!!!
Da lunedì 18 maggio riprende la celebrazione dell’Eucaristia con la presenza del popolo. Per poter accedere alle celebrazioni è importante essere muniti di mascherina e guanti, essere in salute, mantenere le distanze segnalate dai cartelli esposti all’ingresso e sui banchi. In ogni chiesa viene esposto all’ingresso il numero massimo di capienza persone secondo le norme vigenti. Siamo chiamati a rispettare le disposizioni. Onde evitare di negare la partecipazione alla messa a chi arriva oltre il numero consentito, per questo periodo aggiungiamo una Santa Messa a Vallà alle ore 17.00 del sabato e una alle ore 7.30 della domenica sempre a Vallà. Naturalmente manteniamo anche gli altri orari consueti. Per alcune domeniche la Santa Messa delle 9.00 a Vallà sarà trasmessa anche in streaming sul canale youtube Parrocchie di Poggiana e Vallà per le persone che rimarranno a casa.
Lo Spirito e la via della mistica aperta a tutti
Un Vangelo da mistici, di fronte al quale si può solo balbettare, o tacere portando la mano alla bocca. La mistica però non è esperienza di pochi privilegiati, è per tutti, «il cristiano del futuro o sarà un mistico o non sarà» (Karl Rahner). Il brano si snoda su sette versetti nei quali per sette volte Gesù ripropone il suo messaggio: in principio a tutto, fine di tutto, un legame d’amore. E sono parole che grondano unione, vicinanza, intimità, a tu per tu, corpo a corpo con Dio, in una divina monotonia: il Padre vi darà lo Spirito che rimanga con voi, per sempre; che sia presso di voi, che sarà in voi; io stesso verrò da voi; voi sarete in me, io in voi; mai orfani. Essere in, rimanere in: ognuno è tralcio che rimane nella vite, stessa pianta, stessa linfa, stessa vita. Ognuno goccia della sorgente, fiamma del roveto, respiro nel suo vento. Se mi amate. Un punto di partenza così libero, così umile. Non dice: dovete amarmi, è vostro preciso dovere; oppure: guai a voi se non mi amate. Nessuna ricatto, nessuna costrizione, puoi aderire o puoi rifiutarti, in totale libertà. Se mi amate, osserverete... Amarlo è pericoloso, però, ti cambia la vita. «Impossibile amarti impunemente» (Turoldo), senza pagarne il prezzo in moneta di vita nuova: se mi amate, sarete trasformati in un’altra persona, diventerete prolungamento delle mie azioni, riflesso del mio sguardo. Se mi amate, osserverete i comandamenti miei, non per obbligo, ma per forza interna; avrete l’energia per agire come me, per acquisire un sapore di cielo e di storia buona, di nemici perdonati, di tavole imbandite, e poi di piccoli abbracciati. Non per dovere, ma come espansione verso l’esterno di una energia che già preme dentro – ed è l’amore di Dio – come la linfa della vite a primavera, quando preme sulla corteccia secca dei tralci e li apre e ne esce in forma di gemme, di foglie, di grappoli, di fiori. Il cristiano è così: un amato che diventa amante. Nell’amore l’uomo assume un volto divino, Dio assume un volto umano. I comandamenti di cui parla Gesù non sono quelli di Mosè ma i suoi, vissuti da lui. Sono la concretezza, la cronaca dell’amore, i gesti che riassumono la sua vita, che vedendoli non ti puoi sbagliare: è davvero Lui. Lui che si perde dietro alla pecora perduta, dietro a pubblicani e prostitute e vedove povere, che fa dei bambini i conquistatori del suo regno, che ama per primo e fino a perdere il cuore. Non vi lascerò orfani. Io vivo e voi vivrete. Noi viviamo di vita ricevuta e poi di vita trasmessa. La nostra vita biologica va continuamente alimentata; ma la nostra vita spirituale vive quando alimenta la vita di qualcuno. Io vivo di vita donata.
La risposta è Gesù: via, verità e vita
Io sono la via, la verità e la vita. Parole immense, che evadono da tutte le parti. Io sono la via, sono la strada, che è molto di più di una stella polare che indica, pallida e lontana, la direzione. È qualcosa di vicino, solido e affidabile dove posare i piedi; il terreno, battuto dalle orme di chi è passato ed è andato oltre, e che ti assiura che non sei solo. La strada è libertà, nata dal coraggio di uscire e partire, camminando al ritmo umile e tenace del cuore. Gesù non ha detto di essere la meta e il punto di arrivo, ma la strada, il punto di movimento, il viaggio che fa alzare le vite, perché non restino a terra, non si arrendano e vedano che un primo passo è sempre possibile, in qualsiasi situazione si trovino. Alla base della civiltà occidentale la storia e il mito hanno posto due viaggi ispiratori: quello di Ulisse e del suo avventuroso ritorno a Itaca, il cui simbolo è un cerchio; il viaggio di Abramo, che parte per non più ritornare, il cui simbolo è una freccia. Gesù è via che si pone dalla parte della freccia, a significare non il semplice ritorno a casa, ma un viaggio in–finito, verso cieli nuovi e terra nuova, verso un futuro da creare. Io sono la verità: non dice “io conosco” la verità e la insegno; ma “io sono” la verità. Verità è un termine che ha la stessa radice latina di primavera (ver–veris). E vuole indicare la primavera della creatura, vita che germoglia e che mette gemme; una stagione che riempie di fiori e di verde il gelo dei nostri inverni. La verità è ciò che fa fiorire le vite, secondo la prima di tutte le benedizioni: crescete e moltiplicatevi. La verità è Gesù, autore e custode, coltivatore e perfezionatore della vita. La verità sei tu quando, come lui in te, ti prendi cura e custodisci, asciughi una lacrima, ti fermi accanto all’uomo bastonato dai briganti, metti sentori di primavera dentro una esistenza. Io sono la vita. Che è la richiesta più diffusa della Bibbia (Signore, fammi vivere!), è la supplica più gridata da Israele, che è andato a cercare lontano, molto lontano il grido di tutti i disperati della terra e l’ha raccolto nei salmi. La risposta al grido è Gesù: Io sono la vita, che si oppone alla pulsione di morte, alla violenza, all’auto distruttività che nutriamo dentro di noi. Vita è tutto ciò che possiamo mettere sotto questa nome: futuro, amore, casa, festa, riposo, desiderio, pasqua, generazione, abbracci. Il mistero di Dio non è lontano, ma è la strada sottesa ai nostri passi. Se Dio è la vita, allora “c’è della santità nella vita, viviamo la santità del vivere” (Abraham Hescel). Per questo fede e vita, sacro e realtà non si oppongono, ma si incontrano e si baciano, come nei Salmi.
Il pastore che chiama ogni pecora per nome
A sera, i pastori erano soliti condurre il loro gregge in un recinto per la notte, un solo recinto serviva per diversi greggi. Al mattino, ciascun pastore gridava il suo richiamo e le sue pecore, riconoscendone la voce, lo seguivano (B. Maggioni). Su questo sfondo familiare Gesù inserisce l’eccedenza della sua visione, dettagli che sembrano eccessivi e sono invece rivelatori: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome. Quale pastore conosce per nome le centinaia di pecore del suo gregge e le chiama a sé a una a una? Per Gesù le pecore hanno ciascuna un nome, ognuna è unica, irripetibile; vuole te, così come sei, per quello che sei. E le conduce fuori. Anzi: le spinge fuori. Non un Dio dei recinti ma uno che apre spazi più grandi, pastore di libertà e non di paure. Che spinge a un coraggioso viaggio fuori dagli ovili e dai rifugi, alla scoperta di orizzonti nuovi nella fede, nel pensiero, nella vita. Pecore che non possono tornare sui pascoli di ieri, pena la fame, ma “gregge in uscita”, incamminato, che ha fiducia nel pastore e anche nella storia, nera di ladri e di deserti, ma bianca di sentieri e di sorgenti. Il pastore cammina davanti alle pecore. Non abbiamo un pastore di retroguardie, ma una guida che apre cammini. Non un pastore alle spalle, che grida o agita il bastone, ma uno che precede e convince, con il suo andare tranquillo che la strada è sicura. Le pecore ascoltano la sua voce. E lo seguono. Basta la voce, non servono ordini, perché si fidano e si affidano. Perché lo seguono? Semplice, per vivere, per non morire. Quello che cammina davanti, che pronuncia il nome profondo di ciascuno, non è un ladro di felicità o di libertà: ognuno entrerà, uscirà e troverà pascolo. Troverà futuro. Io sono la porta: non un muro, o un vecchio recinto, dove tutto gira e rigira e torna sui suoi giri. Cristo è porta aperta, buco nella rete, passaggio, transito, per cui va e viene la vita di Dio. «Amo le porte aperte che fanno entrare notti e tempeste, polline e spighe. Libere porte che rischiano l’errore e l’amore. Amo le porte aperte di chi invita a varcare la soglia. Strade per tutti noi. Amo le porte aperte di Dio» (Monastero di San Magno). Sono venuto perché abbiano la vita, in abbondanza. Questo è il Vangelo che mi seduce e mi rigenera ogni volta che l’ascolto: lui è qui per la mia vita piena, abbondante, potente, vita «cento volte tanto» come dirà a Pietro. La prova ultima della bontà della fede cristiana sta nella sua capacità di comunicare vita, umanità piena, futuro; e di creare in noi il desiderio di una vita più grande, vita eterna, di una qualità indistruttibile, dove vivi cose che meritano di non morire mai.
Il viandante di Emmaus che si ferma a casa nostra
Gesù si avvicinò e camminava con loro. Dio si avvicina sempre, viandante dei secoli e dei giorni, e muove tutta la storia. Cammina con noi, non per correggere il nostro passo o dettare il ritmo. Non comanda nessun passo, prende il nostro. Nulla di obbligato. Ogni camminare gli va. Purché uno cammini. Gli basta il passo del momento. Gesù raggiunge i due viandanti, li guarda li vede tristi, rallenta: che cosa sono questi discorsi? Ed essi gli raccontano la sua storia: una illusione naufragata nel sangue sulla collina. Lo hanno seguito, lo hanno amato: noi speravamo fosse lui... Unica volta che nei Vangeli ricorre il termine speranza, ma solo come rimpianto e nostalgia, mentre essa è «il presente del futuro» (san Tommaso); come rammarico per le attese di potere tramontate. Per questo «non possono riconoscere» quel Gesù che aveva capovolto al sole e all'aria le radici stesse del potere. Ed è, come agli inizi in Galilea, tutto un parlare, confrontarsi, insegnare, imparare, discutere, lungo ore di strada. Giunti a Emmaus Gesù mostra di voler «andare più lontano». Come un senza fissa dimora, un Dio migratore per spazi liberi e aperti che appartengono a tutti. Allora nascono parole che sono diventate canto, una delle nostre preghiere più belle: resta con noi, perché si fa sera. Hanno fame di parola, di compagnia, di casa. Lo invitano a restare, in una maniera così delicata che par quasi siano loro a chiedere ospitalità. Poi la casa, non è detto niente di essa, perché possa essere la casa di tutti. Dio non sta dappertutto, sta nella casa dove lo si lascia entrare. Resta. E il viandante si ferma, era a suo agio sulla strada, dove tutti sono più liberi; è a suo agio nella casa, dove tutti sono più veri. Il racconto ora si raccoglie attorno al profumo del pane e alla tavola, fatta per radunare tanti attorno a sé, per essere circondata da ogni lato di commensali, per collegarli tra loro: gli sguardi si cercano, si incrociano, si fondono, ci si nutre gli uni degli altri. Lo riconobbero allo spezzare il pane. Lo riconobbero non perché fosse un gesto esclusivo e inconfondibile di Gesù – ogni padre spezzava il pane ai propri figli – chissà quante volte l'avevano fatto anche loro, magari in quella stessa stanza, ogni volta che la sera scendeva su Emmaus. Ma tre giorni prima, il giovedì sera, Gesù aveva fatto una cosa inaudita, si era dato un corpo di pane: prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Lo riconobbero perché spezzare, rompere e consegnarsi contiene il segreto del Vangelo: Dio è pane che si consegna alla fame dell'uomo. Si dona, nutre e scompare: prendete, è per voi! Il miracolo grande: non siamo noi ad esistere per Dio, è Dio che vive per noi.
Le ferite del Signore e la gioia di credere
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. [...]I discepoli erano chiusi in casa per paura dei giudei. Hanno tradito, sono scappati, hanno ancora paura: che cosa di meno affidabile di quel gruppetto allo sbando? E tuttavia Gesù viene. Una comunità chiusa dove non si sta bene, porte e finestre sbarrate, dove manca l’aria e ci si sente allo stretto. E tuttavia Gesù viene. Non al di sopra, non ai margini, ma, dice il Vangelo, in mezzo a loro. E dice: Pace a voi. Non si tratta di un augurio o di una promessa, ma di una affermazione: la pace è, la pace qui. Pace che scende dentro di voi, che proviene da Dio. È pace sulle vostre paure, sui vostri sensi di colpa, sui sogni non raggiunti, sulle insoddisfazioni che scolorano i giorni. Qualcuno però va e viene da quella stanza, entra ed esce: i due di Emmaus, Tommaso il coraggioso. Gesù e Tommaso, loro due cercano. Si cercano. Otto giorni dopo, erano ancora lì tutti insieme. Gesù ritorna, nel più profondo rispetto: invece di rimproverarli, si mette a disposizione delle loro mani. Tommaso non si era accontentato delle parole degli altri dieci; non di un racconto aveva bisogno, ma di un incontro con il suo Signore. Che viene una prima volta ma poi ritorna, che invece di imporsi, si propone; invece di ritrarsi, si espone alle mani di Tommaso: Metti qui il tuo dito; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco. La risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, non ha rimarginato le labbra delle ferite. Perché la morte di croce non è un semplice incidente da superare: quelle ferite sono la gloria di Dio, il punto più alto dell’amore, e allora resteranno eternamente aperte. Su quella carne l’amore ha scritto il suo racconto con l’alfabeto delle ferite, indelebili ormai come l’amore stesso. Il Vangelo non dice che Tommaso abbia davvero toccato, messo il dito nel foro. A lui è bastato quel Gesù che si propone, ancora una volta, un’ennesima volta, con questa umiltà, con questa fiducia, con questa libertà, che non si stanca di venire incontro, che non molla i suoi, neppure se loro l’hanno abbandonato. È il suo stile, è Lui, non ti puoi sbagliare: mio Signore e mio Dio. Perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! Una beatitudine per noi che non vediamo, che cerchiamo a tentoni e facciamo fatica, che finalmente sento mia. Grande educatore, Gesù: forma i suoi alla libertà, a essere liberi dai segni esteriori, alla ricerca personale più che alla docilità. Beati i credenti! La fede è il rischio di essere felici. Una vita non certo più facile, ma più piena e vibrante. Ferita sì, ma luminosa. Così termina il Vangelo, così inizia il nostro discepolato: col rischio di essere felici, portando le nostre piaghe di luce
Non un'idea ma un fatto si è imposto agli apostoli
La Pasqua è arrivata a noi attraverso gli occhi e la fede delle donne che avevano seguito Gesù, in un'alba ricca di sorprese, di corse, di paure. Maria di Magdala e Maria di Giacomo escono di casa nell'ora tra il buio e la luce, appena possibile, con l'urgenza di chi ama. E andarono a visitare la tomba. A mani vuote, semplicemente a visitare, vedere, guardare, soffermarsi, toccare la pietra. Ed ecco ci fu un gran terremoto e un angelo scese: concorso di terra e di cielo, e la pietra rotola via, non perché Gesù esca, ne è già uscito, ma per mostrarlo alle donne: venite, guardate il posto dove giaceva. Non è un sepolcro vuoto che rende plausibile la risurrezione, ma incontrare Lui vivente, e l'angelo prosegue: So che cercate Gesù, non è qui! Che bello questo: non è qui! C'è, esiste, vive, ma non qui. Va cercato fuori, altrove, diversamente, è in giro per le strade, è il vivente, un Dio da cogliere nella vita. Dovunque, eccetto che fra le cose morte. È dentro i sogni di bellezza, in ogni scelta per un più grande amore, dentro l'atto di generare, nei gesti di pace, negli abbracci degli amanti, nel grido vittorioso del bambino che nasce, nell'ultimo respiro del morente, nella tenerezza con cui si cura un malato. Alle volte ho un sogno: che al Santo Sepolcro ci sia un diacono annunciatore a ripetere, ai cercatori, le parole dell'angelo: non è qui, vi precede. È fuori, è davanti. Cercate meglio, cercate con occhi nuovi. Vi precede in Galilea, là dove tutto è cominciato, dove può ancora ricominciare. L'angelo incalza: ripartite, Lui si fida di voi, vi aspetta e insieme vivrete solo inizi. Vi precede: la risurrezione di Gesù è una assoluta novità rispetto ai miracoli di risurrezione di cui parla il Vangelo. Per Lazzaro si era trattato di un ritorno alla vita di prima, quasi un cammino all'indietro. Quella di Gesù invece è un cammino in avanti, entra in una dimensione nuova, capofila della lunga migrazione dell'umanità verso la vita di Dio. La risurrezione non è un'invenzione delle donne. Mille volte più facile, più convincente, sarebbe stato fondare il cristianesimo sulla vita di Gesù, tutta dedita al prossimo, alla guarigione, all'incoraggiamento, a togliere barriere e pregiudizi. Una vita buona, bella e felice, da imitare. Molto più facile fondarlo sulla passione, su quel suo modo coraggioso di porsi davanti al potere religioso e politico, di morire perdonando e affidandosi. La risurrezione, fondamento su cui sta o cade la Chiesa (stantis vel cadentis ecclesiae) non è una scelta degli apostoli, è un fatto che si è imposto su di loro. Il più arduo e il più bello di tutta la Bibbia. E ne ha rovesciato la vita.
Auguri di Pasqua
Parrocchia di San Giovanni Battista in Vallà e Parrocchia di San Lorenzo in Poggiana
AUGURI DI PASQUA
Cristo, mia speranza, è risorto; e vi precede in Galilea.
Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto.
Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza. (Dalla sequenza di Pasqua)
Carissimi amici e parrocchiani, Siamo arrivati alla Pasqua e chi avrebbe mai detto di doverla celebrare in queste condizioni, senza poterci radunare come comunità, senza poter far festa tra parenti, senza assaporare quella gioia spirituale che solo la liturgia sa offrire. Non vogliamo comunque trasformare questo giorno di festa in un’occasione di lamento e rammarico. Cristo è davvero risorto! Noi ne siamo certi. La Pasqua viene rappresentata come una festa di luce, sprigionata da quel sepolcro aperto, una luce che raggiunge ogni creatura e dona splendore ad ogni forma e colore. Come all’inizio della creazione per prima cosa Dio crea la luce, così con la risurrezione di Gesù un’altra luce appare all’orizzonte della nostra esistenza: la luce della vera vita. Cristo risorto ora è presente in mezzo a noi e ci accompagna nel nostro cammino. Non esistono più solitudine, sconfitta, tristezza, amarezza che possano trionfare su di noi. Con Cristo il nostro cuore può essere abitato solo dalla serenità e dalla pace. Davanti a questo annuncio pasquale ci attende un compito assai arduo: continuare a far risplendere la luce di Cristo risorto, non riportare alle tenebre il nostro cuore. Veniamo da una cultura fortemente individualista che ci rende indifferenti rispetto agli altri e incapaci di commuoverci e di agire a favore di chi soffre o ha necessità di un aiuto. Il tempo caratterizzato dal Coronavirus ha accentuato la diffidenza verso gli altri, a causa della paura del contagio, che rende la chiusura inevitabile. Noi cristiani, illuminati da Cristo risorto, desideriamo portare luce a chi soffre, a chi è emarginato, a chi è triste e ha perso il gusto della vita. Non vogliamo certo essere rivoluzionari o infrangere la legge, ma neppure starcene rinchiusi in questa paura soffocante. Siamo in un tempo nel quale risulta necessario aprire nuove vie per incontrare l’altro e per manifestare vicinanza e affetto. Nessuna legge, nessuna prescrizione può chiederci, anche solo indirettamente, di venire meno alla vitalità della Pasqua. Per questo continuiamo a sorridere anche sotto la mascherina. Sarà coperta la nostra bocca, ma i nostri occhi trasmetteranno gioia. Continuiamo a salutarci con tanta cordialità. Il saluto affettuoso non trasmette contagio del Coronavirus, al limite rende contagiosa la gentilezza. Continuiamo a sintonizzare i cuori per farci prossimi a chi è solo, magari con una telefonata che illumina la nostra giornata. Continuiamo ad amare senza misura e questo diventerà l’antidoto per una malattia ben più feroce di qualsiasi altro virus: l’indifferenza e l’egoismo. Ricevete da parte mia il più caloroso augurio di Buona Pasqua e la benedizione del Signore Risorto.
Il vostro parroco Don Daniele Vettor
Gesù viene a guarirci, non a rifare un «codice».
Ma io vi dico. Gesù entra nel progetto di Dio non per rifare un codice, ma per rifare il coraggio del cuore, il coraggio del sogno. Agendo su tre leve decisive: la violenza, il desiderio, la sincerità. Fu detto: non ucciderai; ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, chi nutre rancore è potenzialmente un omicida. Gesù va diritto al movente delle azioni, al laboratorio dove si assemblano i gesti. L'apostolo Giovanni affermerà una cosa enorme: «Chi non ama suo fratello è omicida» (1 Gv 3,15). Chi non ama, uccide. Il disamore non è solo il mio lento morire, ma è un incubatore di violenza e omicidi. Ma io vi dico: chiunque si adira con il fratello, o gli dice pazzo, o stupido, è sulla linea di Caino... Gesù mostra i primi tre passi verso la morte: l'ira, l'insulto, il disprezzo, tre forme di omicidio. L'uccisione esteriore viene dalla eliminazione interiore dell'altro. Chi gli dice pazzo sarà destinato al fuoco della Geenna. Geenna non è l'inferno, ma quel vallone alla periferia di Gerusalemme, dove si bruciavano le immondizie della città, da cui saliva perennemente un fumo acre e cattivo. Gesù dice: se tu disprezzi e insulti il fratello tu fai spazzatura della tua vita, la butti nell'immondizia; è ben più di un castigo, è la tua umanità che marcisce e va in fumo. Ascolti queste pagine che sono tra le più radicali del Vangelo e capisci per contrasto che diventano le più umane, perché Gesù parla solo della vita, con le parole proprie della vita: «Custodisci le mie parole ed esse ti custodiranno» (Prov 4,4), e non finirai nell'immondezzaio della storia. Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio. Ma io vi dico: se guardi una donna per desiderarla sei già adultero. Non dice semplicemente: se tu desideri una donna; ma: se guardi per desiderare, con atteggiamento predatorio, per conquistare e violare, per sedurre e possedere, se la riduci a un oggetto da prendere o collezionare, tu commetti un reato contro la grandezza di quella persona. Adulterio viene dal verbo a(du)lterare che significa: tu alteri, cambi, falsifichi, manipoli la persona. Le rubi il sogno di Dio. Adulterio non è tanto un reato contro la morale, ma un delitto contro la persona, deturpi il volto alto e puro dell'uomo. Terza leva: Ma io vi dico: Non giurate affatto; il vostro dire sia sì, sì; no, no. Dal divieto del giuramento, Gesù va fino in fondo, arriva al divieto della menzogna. Di' sempre la verità e non servirà più giurare. Non abbiamo bisogno di mostraci diversi da ciò che siamo nell'intimo. Dobbiamo solo curare il nostro cuore, per poi prenderci cura della vita attorno a noi; c'è da guarire il cuore per poi la vita.